Penale

Reati contro la famiglia

In oltre trentacinque anni di attività professionale, l’Avvocato Maria Bruschetti ha fornito la propria assistenza in innumerevoli cause inerenti il diritto di famiglia, maturando una profonda conoscenza delle dinamiche relazionali afferenti la crisi del nucleo familiare, la separazione personale, il divorzio, le questioni inerenti l’affidamento dei figli e l’esercizio della responsabilità genitoriale.

Grazie all’esperienza dell’Avv. Maria Bruschetti, unita alla specializzazione dell’Avv. Francesco Tantussi nell’ambito del diritto penale, il nostro Studio è in grado di fornire consulenza ed assistenza legale nei procedimenti per tutte le tipologie di reati contro la famiglia, alla luce della recente normativa di contrasto alla violenza domestica (c.d. Codice Rosso).

In particolare, grazie all’esperienza maturata nell’ambito delle fattispecie inerenti la crisi dei rapporti familiari, il nostro Studio è in grado di fornire assistenza legale, giudiziale e stragiudiziale, per le seguenti ipotesi:

  • violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.);
  • maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 c.p.);
  • supposizione o soppressione di stato (art. 566 c.p.);
  • alterazione di stato (art. 567 c.p.);
  • sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.);
  • sottrazione e trattenimento di minore all’estero (art. 574 bis c.p.);
  • atti persecutori [c.d. stalking] (art. 612 bis c.p.);
  • bigamia (art. 556 c.p.),
  • mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 comma 2 c.p.).

Il Reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi

La disposizione: Art. 572 C.p. 

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.

Il reato di maltrattamenti.

L’art. 572 del Codice Penale non tutela soltanto o la famiglia, ma anche la personalità dei singoli familiari, quindi nel caso di maltrattamenti ai danni di più familiari vi è pluralità di reati, eventualmente unificabili sotto il vincolo della continuazione.

Presupposto del reato è l’esistenza di un rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo tale per cui quest’ultimo è qualificabile come persona della famiglia o comunque convivente o persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

In particolare, per famiglia si intende non solo la famiglia legittima, ma ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (famiglia di fatto).

Tuttavia nel caso di separazione dei coniugi e filiazione, il reato è configurabile anche nel caso di  cessazione della convivenza, che quindi non rappresenta dunque un presupposto necessario della fattispecie criminosa, perché i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza.

Diverso è il caso della convivenza more uxorio: il delitto è configurabile soltanto finché dura la convivenza, mentre per il periodo successivo potrà eventualmente configurarsi il delitto di atti persecutori.

Si è tuttavia affermato che anche nel caso di cessazione della convivenza more uxorio il delitto di maltrattamenti è configurabile finché l’agente conservi con la vittima una stabilità di relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione.

La condotta.

I maltrattamenti implicano una condotta abituale di sottoposizione ad atti di vessazione, di sofferenza e di prevaricazione, atti costituenti fonte di uno stato di disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di esistenza, cioè l’imposizione di un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

Ad integrare il reato non bastano dunque semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre l’indicato regime di vita.

Integrano il reato non solo le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni della parte offesa, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità.

Il reato può essere realizzato anche mediante condotte omissive.

I singoli atti possono anche non integrare uno specifico reato.

Lo stato di sofferenza e di umiliazione della vittima non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi.

L’Abitualità.

Il reato di maltrattamenti è necessariamente abituale, ossia costituito dalla reiterazione di comportamenti che, isolatamente considerati, potrebbe anche non costituire reato (es. atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.).

Il reato si perfeziona dunque quando si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81/2 c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra, o quando le condotte siano poste in essere ai danni di più soggetti passivi.

Il Dolo.

Affinchè si configuri il reato in questione è necessario che il soggetto agisca con dolo unitario e programmatico;

Non è invece necessario uno specifico programma criminoso iniziale: trattasi di dolo generico per il quale è sufficiente la coscienza e volontà di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza.

Il movente può evidenziare il nesso esistente tra i singoli episodi.

Consumazione.

Il reato si consuma quando le condotte divengono riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti, fermo restando che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di maltrattamento compiuta si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario; ne deriva che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell’ultima condotta tenuta.

Le aggravanti.

L’aggravante di cui all’art. 572, co. 3 (già co. 2)richiede che sussista nesso causale ex artt. 40 e 41 c.p. tra condotta ed evento di lesioni o morte, nonché la prevedibilità in concreto di detto evento, trattandosi di circostanza aggravante alla quale si applica l’art. 59, co. 2. (sul punto ampiamente Cass. VI 29.11.2007 Passafiume e Cass. VI 15.10.2009 D.N.C. in SF).

L’evento morte può essere anche determinato dal suicidio della vittima dei maltrattamenti.